Vivian Maier era una bambinaia e come tale era conosciuta nel lasso di tempo in cui è stata ospite sulla terra. Esattamente dal 1926 al 2009. Una donna single, con un’istruzione elementare e scarse possibilità economiche. Un viso poco curato ed un abbigliamento anonimo: un cappotto, un cappello floscio e scarpe da uomo. Un’ invisibile e come tale girava per le strade prima di Chicago e poi di New York, ma con l’ardore passionale di una cacciatrice. Una cacciatrice d’immagini.

Poche sono le notizie biografiche poiché la sua notorietà è postuma e legata ad un caso fortuito. Di madre francese e di padre austriaco, vivrà quasi tutta la sua esistenza negli Stati Uniti. Sicuramente era una donna tenace, capace di riconoscere e perseguire fino in fondo e ad ogni costo le proprie vocazioni. Nonostante l’indigenza, che la porta prima a lavorare in fabbrica e poi come baby- sitter presso alcune famiglie borghesi, acquista con i pochi risparmi una macchina fotografica professionale, un rolleiflex che le consente di catturare la vita di strada e il volto della città che evolve. Questo non era il suo unico interesse. Grazie alla vendita di un terreno lasciatole in eredità dalla zia materna in Francia, si concede alcuni viaggi, in Europa, nelle Filippine, nello Yemen, in Thailandia. Solo per dirne alcuni. Per poi morire povera, tanto che tutti i suoi amati scatti, conservati gelosamente in un deposito a pagamento, vengono messi all’asta per inadempienza. E solo allora, dopo la vendita avvenuta nel 2007, comincerà la sua notorietà. Una strada di successo che forse aveva sognato, ma che probabilmente non aveva mai perseguito a causa di una scarsa fiducia in se stessa. Da questa da data in poi Vivian è e sarà una fotografa.

I negativi più famosi prendono un lasso di tempo che va dal 1950 alla fine degli anni ‘90, prevalentemente in bianco e nero. I soggetti più amati: la comunità afroamericana, i poveri, gli anziani, le simmetrie, le incongruenze e, perfino se stessa. Forse per un desiderio di autoaffermazione ricercava la propria immagine negli specchi, nelle vetrine e perfino nelle ombre che si riflettevano ovunque. Grazie agli autoritratti possiamo conoscerla e apprezzarla soprattutto per l’arguzia, l’ironia e la grande capacità di osservazione di cui era dotata. Il suo era un occhio allenato, attento e la sua mano veloce, pronta e anche discreta. Un talento che forse le è stato ispirato da un’altra grande donna fotografa, Jeanne Bertrand, originaria dello stesso paese della madre e che ha vissuto per un anno circa con le due donne. Una fotografa di ritratti che, plausibilmente, ha saputo ispirare Vivian.

Personalmente le foto che più amo sono quelle in bianco e nero degli anni ‘50, scattate a New York. In seguito passerà alla Leica e al colore.

Le sue sono foto poetiche, capaci di trasmettere ed infondere, al contempo, molteplici sentimenti. Forse ciò che domina, nella maggior parte di esse, è l’ironia del caso ch’ella impressiona implacabilmente, senza esitazione alcuna. Ma non si può non lasciarsi sedurre dagli sguardi umani che trasmettono desideri, sentimenti e, perfino, pensieri fugaci, intuizioni.

Fatima Giordano

Autoritratto