“Prenez soin de vous” (“Abbi cura di te”). Questa è l’ultima frase con cui il suo compagno, in una mail, decide di porre fine alla relazione. E queste sono le parole protagoniste di un’installazione nel Padiglione della Francia ai Giardini della Biennale di Venezia, nel 2007. L’opera consisteva in una serie di video, testi e foto, in cui più di cento donne si confrontavano sul tema dell’abbandono: un mosaico di punti di vista e suggestioni, tutto al femminile. Ma anche il funerale collettivo di una storia d’amore. Già molti anni prima, nel lontano 1984, la stessa artista aveva deciso di raccontare la fine di una storia d’amore dopo un viaggio in Asia, esperienza che lei stessa definì la più straziante della sua vita. Il risultato fu una raccolta di foto scattate quando ancora non immaginava l’approssimarsi dell’infelicità, insieme a dichiarazioni di amici e conoscenti, invitati a raccontare a loro volta un’esperienza personale di dolore. Un “dialogo di lamenti”, confluiti nel libro a cui l’artista diede il nome di Douleur exquise.

Lei è Sophie Calle, una delle artiste maggiormente riconosciute oggi a livello internazionale, che ha fatto e fa della sua stessa vita un’opera d’arte, facendo parlare spesso delle sue stravaganze. La sua personalità artistica non rientra in nessuna categoria, e i suoi lavori sono considerati così lontani da qualsiasi etichetta, che il critico William Leith qualche tempo fa si è chiesto: “è un’artista o è solamente una persona strana che fa delle cose strane?”.

Nata il 9 ottobre del 1953 a Parigi, figlia di un collezionista di arte contemporanea, entra nella scena artistica europea verso la fine degli anni Settanta. Il suo primo lavoro è Suite vénitienne, il cui soggetto è un uomo, pedinato per due settimane durante il suo soggiorno a Venezia. L’opera fu realizzata nel 1979, poco prima di Les Dormeurs, forse il progetto artistico più conosciuto della Calle: una rassegna di foto scattate a sconosciuti invitati a dormire nel proprio letto. Sempre a Venezia, l’artista si fa assumere come cameriera in un albergo, per fotografare le stanze dove i clienti hanno lasciato le tracce del loro passaggio e per rubare alcuni oggetti, realizzando così L’hotel, nel 1981. Ma è anche il tema dell’assenza ad assumere un ruolo centrale nel suo percorso artistico. In questo senso è significativo Les aveugles (1986), lavoro impregnato di sensibilità poetica, in cui la Calle propone una serie di fotografie e testi che rappresentano l’idea di bellezza così come la immaginano persone non vedenti dalla nascita. Il tema dell’assenza è legato a doppio filo a quello della morte, e questo emerge in Les Tombes, del 1990, selezione fotografica di pietre tombali, che esprime il senso della traccia dell’uomo e della sua scomparsa. Ma è soprattutto nell’ultimo lavoro, del 2018, che il tema della morte ritorna prepotentemente ad affacciarsi nella produzione della Calle, insieme al racconto di se stessa. Si tratta della mostra Beau doublé, Monsieur le Marquis!, ospitata nel poco conosciuto Museo della Caccia e della Natura, a Parigi. Sophie Calle crea un fitto dialogo tra la memoria personale e i trofei di caccia del museo. In uno spazio già affastellato da vetrine con animali impagliati (lei stessa in una recente intervista ha dichiarato di collezionarli), disegni, quadri e oggetti di varia tipologia, l’artista si inserisce con cinquanta opere in cui mette al centro, a tratti con un’estrema ironia che restituisce luce ad una trama naturalmente oscura, le tappe della sua vita, quasi intrappolando lo spettatore in un percorso di sensazioni che lo rendono testimone privilegiato. Le sue opere esorcizzano la morte, imponendosi come un grande autoritratto che prende corpo solo in rapporto allo sguardo altrui. Sophie Calle ci accompagna in un labirinto di specchi, in una miriade di frammenti di vita. Ci invita ad una scelta: immedesimarci o trovare la via d’uscita.

di Paola Setaro

Sophie Calle, 1953 (foto dal web)
Sophie Calle, Les Aveglues, 1986 (foto dal web)

Sophie Calle, Histoires vraies, 2018, Parigi, Museo della Caccia e della Natura (foto dal web)