La casa dei miei sogni non è il castello delle favole in cui abitavano le principesse e non è neanche quella che per decenni ha abitato il mio immaginario, è una realtà esistente, concretizzata e vivente.

Si trova a Navi Mumbai, su di una collina che domina la città, incastrata tra altri lotti abitativi, forse soffocata, ma straordinariamente se stessa, unica, autosufficiente. E’ il frutto di un originale progetto dello studio S + PS Architects (2015) che è riuscito ad eguagliare ai miei occhi Le Corbusier e Lloyd Wright.

E’ casa nel senso più completo che si possa immaginare: per il fatto che ospita quattro generazioni della stessa famiglia, perché è stata voluta, amata e curata in ogni minimo dettaglio, perché è la casa di una vita, perché è il riflesso dell’essere umano in tutta la sua complessa personalità.

Ciò che la rende speciale è la fusione di svariati elementi in un unicum omogeneo che vede come protagonista il riciclo dei materiali. Un riciclo per nulla feticizzato, ma riutilizzato in modo funzionale ed originale. Un luogo dove esso perde parte della propria identità per acquisirne un’altra completamente nuova. La fusione qui non conduce, come spesso avviene, ad un’accozzaglia informe, stridente, pacchiana, ma approda ad un’armonia complessa e originale.

Tradizione indiana e design moderno, rifiniture sofisticate e grezze dialogano in amabile sintonia.

Perno di una costruzione a tre piani, è il cortile interno su cui affacciano tre ali e che costituisce il punto di raccordo delle famiglie che la abitano. Esso presenta una fioriera realizzata con mattonelle da esposizione, un muro di protezione che è il risultato degli scarti dei materiali prodotti durante la costruzione. La parte più originale è una parete con addossati tubi arrugginiti che simulano una selva di bambù. Nella stagione dei monsoni l’acqua s’incanala in essi e, nell’atto di essere convogliata in una cisterna sottostante, provoca un suono melodico.

I rivestimenti dei bagni sono specchi smussati, le condutture dell’acqua si piegano a formare i porta-asciugamani e porta-rotolo, la testiera di un letto è l’incastro di vecchie cornici portate al macero, una parete colorata è l’ensemble di matrici xilografiche che davano vita ad antichi tessuti. Il padiglione del tetto è una teca in vetro, sostenuta da centenarie colonne lignee. Da esso si domina la città nella sua interezza.

Ma ciò che cattura nell’immediato è la facciata principale. Un collage di antiche porte e finestre di legno ricavate da antiche case demolite. Esse occupano tutti e tre i livelli e sono racchiuse da una cornice in cemento da cui sporge un moderno balconcino in vetro colorato. All’interno corrispondono alcune stanze, tra cui il grande salotto con pavimento in marmo lucido in cui si profilano disegni di ottone.

Non è la coerenza intransigente di uno stile ad affascinare, ma la fusione totalmente armonica di un passato e di un presente in cui tutto è studiato meticolosamente, tutto è assemblato in incastri fantasiosi, improbabili ed imprevisti.

Fatima Giordano