Il connubio tra arte e moda, si sa, porta il nome di Tamara de Lempicka. Un binomio inscindibile che esula dall’applicazione volontaria, ma che costituisce una qualità intrinseca dell’artista. La pittura è l’espressione della sua complessa e articolata personalità, priva di qualsiasi schematismo mentale, pregna dei più disparati interessi. Difficile districarsi ed entrare nei meandri più reconditi di Tamara attraverso le sue opere che pure, a prima vista, potrebbero sembrare semplici e facilmente approcciabili.

Le donne che rappresenta tra gli anni Venti e Trenta, pur chiamandosi Ira Perrault, Rafaëla, Kizette, esprimono l’ideale di donna di Tamara e la sua stessa essenza.

Ci troviamo di fronte a donne bellissime, malinconiche, distaccate, ma allo stesso tempo sensuali e, per tale motivo, irraggiungibili. E’ questo il segreto del loro fascino accattivante. E’ ciò che ci rapisce. Sono donne curate, truccate, abbigliate con gusto, ma che promanano dalla posa e dallo sguardo, determinazione, tenacia, consapevolezza e cultura. Il tutto reso con estrema raffinatezza coloristica ed una tecnica a smalto, tutt’ora inimitata, che rende l’incarnato porcellana, alabastro.

Per tutta la vita, Tamara ha indossato abiti e cappelli da lei disegnati. Arrivata a Parigi dalla Russia, nel 1918, si guadagna da vivere come modista. E’ richiestissima per l’originalità, ma anche per la grande abilità di saper indovinare la foggia adatta di cappello alla fisionomia, all’età e al gusto della cliente. Ben presto, le sue creazioni approdano sulle riviste più in voga dell’epoca: Femina, l’Officiel e Die Dame, come più tardi succederà per i suoi dipinti, che prenderanno posto in copertina. Segue, poi, l’evoluzione della moda, che in quegli anni fa passi da gigante. Negli anni Venti Paul Poiret libera la donna dal busto, introduce nella moda femminile il tailleur maschile, mostra le gambe. I capelli vengono tagliati alla garçon, Coco Chanel produce abiti in jersey, Elsa Schiaparelli inventa il rosa schocking e crea gli sweaters, maglioni di lana con disegni surrealisti e cubisti ed Elisabeth Arden chiede aiuto alla chimica per la cura della pelle e l’utilizzo del maquillage. Tamara segue, inoltre, l’evoluzione dell’architettura, arredando la sua casa con materiali hi-tech, del cinema muto e delle grandi attrici Greta Garbo e Marlene Dietrich, della lotta per l’indipendenza femminile.

Un micro-macro cosmo delle “sue donne” presentate a mezzo busto e di tre quarti come Mne Allan Bott (1930, Collezione privata), moglie dell’asso dell’aeronautica militare inglese durante la prima guerra mondiale. Su di uno sfondo grigio, che mette in risalto i colori e dona raffinatezza, emerge il profilo di Josephine, amante della vela, donna sportiva e à la page.

Gli occhi da cerbiatta sono di un ciano glaciale ed esaltano la sua espressione distaccata. La bocca di un rosso intenso ed i morbidi e setosi capelli fuoriescono ribelli da un copricapo entrato nel guardaroba femminile a partire dal 1926, ma che si diffonde nel ‘29 con la forma qui rappresentata: il basco. Esso, nato probabilmente nelle Antille, veniva usato dai contadini dei Paesi Baschi per ripararsi dal sole. Dopo un uso militare, negli anni Trenta e Quaranta, diventa di moda tra le donne e diffuso dalle grandi attrici Greta Garbo e Marlene Dietrich. Josephine e Tamara ci raccontano anche che il taglio alla paggio è superato ed è stato sostituito da una pettinatura più mossa ed ondulata che porta una scriminatura laterale e che oramai il foulard, un altro accessorio di origine contadina, è stato tramutato in elegante e raffinato must-have che la casa di moda Hermès ha commercializzato nel formato 90 x 90 e che a tutt’oggi è desiderato e ricercato.

Tutto ciò, in aggiunta allo stile che ricorda la grafica pubblicitaria, rende questa pittrice una pioniera, una donna all’avanguardia nella vita come nell’arte. Le tele di Tamara non solo esprimono il suo alter ego, ma sono anche il marchio indelebile di un’epoca.

Fatima Giordano