Le strane dinamiche del turismo culturale di massa mi stupiscono ancora. Formicai organizzati pazientemente, aspettano di poter entrare nei luoghi più gettonati che sono, naturalmente, di grande spessore artistico. Inizialmente, da persona addetta ai lavori, il compiacimento si espande e gratifica il mio gracile corpo. Anche se……in angoli reconditi, sebbene scacciati a pedate, s’insinuano microscopici dubbi. Chi ne capisce o ne vuole capire tende a fagocitare ogni cosa. Certo non si può vedere tutto. . .

A Siena, il turbamento e il nonsense hanno prodotto in me un forte disorientamento. La città è piccola e offre, in un raggio abbastanza circoscritto, gemme preziosissime. Naturale trovare file chilometriche al Duomo, al Palazzo pubblico, al Battistero. Naturale e scontato. Ma sconcertante è trovare il vuoto alla Pinacoteca Nazionale dove si apre il paradiso della pittura senese dalle origini alla fine del Quattrocento.

Pressappoco lo stesso, anche se con qualche anima in più, l’Ospedale di santa Maria della Scala. A mio avviso uno dei luoghi più attraenti, soprattutto se si pensa a ciò che è stato ed ha rappresentato a partire dal 1238.

La città, allora, comprese quale importanza potesse significare, dal punto di vista dell’indotto economico, la presenza di devoti pellegrini che si trovavano in transito sulla via Francigena da o verso Roma e, tra l’altro, crearono un luogo che potesse dare conforto alle loro pene fisiche, il Pellegrinaio. Gestito e finanziato da laici, l’ospedale s’ingrandì e si trasformò in centro di grande accoglienza e cura. Venivano anche cresciuti i “gettatelli” , gli orfanelli che ricevevano cure, istruzione e perfino soldi per aprire un’attività una volta compiuti i vent’anni. Gli anziani ed i poveri potevano trovare conforto ed ospitalità all’interno di quelle mura medievali.

E proprio sulle pareti del Pellegrinaio maschile sono narrate, da abili artisti, in forma figurativa, tutte le fasi della genesi, della realizzazione dell’ospedale nonché le opere svolte all’interno di questa enorme macchina caritatevole.

Le scene che rapiscono maggiormente sono quelle di Domenico Di Bartolo, sulla parete destra della grande sala rettangolare. Egli raffigura le quattro opere dell’ospedale: la distribuzione delle elemosine ai poveri; l’accoglienza e la cura dei “gettatelli”; il banchetto che ogni lunedì, mercoledì e venerdì sfamava i poveri della città ed, infine, quella che amo di più, la cura e il governo degli infermi.

E’ la materializzazione scenica di ciò che ancor’ oggi accade negli ospedali cittadini. Il da fare è il medesimo.

Con grande abilità disegnativa, pittorica e narrativa, tra il 1440 e il 1441, Domenico Di Bartolo crea al centro dell’affresco un diaframma, un’eterea cancellata che demarca un prima, l’accoglienza dei malati, la loro diagnosi, che avviene al centro, al cospetto dei religiosi , dei notabili e del medico, ed un dopo, il loro smistamento nei vari reparti.

Ai lati , le scene più significative. Sulla sinistra, un malato viene adagiato su di una branda, mentre i medici discutono sul suo campione di urine e un infermiere lava gli arti inferiori di un uomo con una ferita alla gamba; sulla destra, ampolle, medicamenti che sovrastano un moribondo a cui un frate sta conferendo il sacramento della confessione, una bacinella e dei portantini che trasportano una barella.

Nel trambusto, negli affanni umani e nel dolore, un gatto ed un cane s’ingobbiscono e si mostrano reciprocamente i denti. Un avvertimento che molto probabilmente prelude ad una zuffa. E’ la rappresentazione della realtà così come essa è, senza misticismi, enfatizzazioni, edulcorazioni e Di Bartolo ce la rende con estrema maestria, riuscendo ad applicare le ultime grandissime novità che provengono dal territorio fiorentino: la prospettiva lineare e la volumetria masaccesca. Il tutto condito con un’ aura ancora tardo-gotica ed una resa del particolare minuziosa di matrice fiamminga.

Il pellegrinaio è arte, ma è anche narrazione di vita quotidiana, racconto in diretta della vita e della realtà senese del Rinascimento.

Fatima Giordano