Come quasi ogni mattina, a partire dall’11 gennaio del nuovo anno, la sveglia suona stridente e fastidiosa. Il rituale è sempre uguale: un’inerzia congenita che mi porta lentamente e svogliatamente ad alzarmi dal letto. Da allora, un peso gastrico, altrimenti detto magone, ha deciso di continuare a farmi dolce compagnia. Non so come comunicargli la scarsa simpatia nei suoi confronti, ma prima o poi ci riuscirò.

Con questo compagno, dopo le rituali azioni mattutine, mi trascino fino a quel cancello. Su di esso un foglio recita: “Non sostare davanti al cancello” ed io, come inebetita, continuo a fissarlo sorpresa, lì ferma, disattendendo la richiesta, in attesa di suonare per entrare. Cosa mi trattiene? La sensazione di deserto, il silenzio, l’assenza umana e l’atavico timore di aver sbagliato giorno, orario, luogo. Ci sarebbero tutti gli indizi. Ma il clac arriva inesorabile.

I padiglioni, le aiuole, gli alberi, l’erbaccia, il fil rouge sono sempre lì, ma manca la vita. Perfino la gatta di scuola ha deciso di traslocare. Se manca lei, vuol dire che scarseggiano cibo e coccole. Poi i passi con i tacchi che rimbombano nel vuoto ed io sempre in compagnia dell’indesiderato amico che cerca di espandersi, d’impossessarsi di me. E ancora corridoi vuoti, aule chiuse, suoni ovattati. Il silenzio è l’elemento più assordante all’interno di un edificio scolastico. Come in un triller, però, arriva l’elemento sorpresa che ti fa saltare il cuore: all’ingresso la voce squillante di Massimo, il dolce sorriso di Angelina e la volitività prorompente di Annamaria, sprazzi di energia come forme iniziatiche verso questo insolito percorso. Ti accorgi che tutto è a scartamento ridotto, un lacerto di vita, una percentuale ridotta di esistenza che pure, per fortuna, c’è. E poi arrivano a singhiozzo, tra una DAD e l’altra, le aule con alunni in carne ed ossa e ti sorprendi a riscoprire l’ironia intrinseca e scherzosa della voce di Fulvio, gli occhi vivaci di Abirami, l’espressione sorniona di Kian, la timidezza, satura di personalità, di Rebecca, lo sguardo languido e consapevole di Julienne, il braccio perennemente alzato di Lavinia e il tergiversare di Giovanni, energie salvifiche da cui trarre resistenza.

E poi ancora uno schermo, un diaframma separatore che contiene in sé, magicamente, tante realtà, che si possono assaporare superficialmente, che, come una macchina di terapia intensiva, ti trattengono alla vita in attesa della sospirata guarigione.

E di nuovo, fugaci apparizioni di colleghi con parole espresse all’interno di un imbuto bianco. E a questi lazzi di energia, mi attacco come un vampiro a succhiare un filo di resistenza alla vita.

Il mio amico magone, così pian piano mi lascia in pace, salvo venirmi a ritrovare la mattina seguente!

FaTima GiorDano